La mia esperienza con DiM Project

 Insegno lettere in un Cpia, nella sede carceraria di Bellizzi Irpino, la cui utenza è composta da apprendenti adulti italiani e stranieri. Il suo  scopo è quello di realizzare percorsi di istruzione di qualità per far acquisire agli adulti (italiani e non) competenze necessarie per esercitare la cittadinanza attiva, affrontare il mondo del mercato e del lavoro anche per favorire un’integrazione  nella comunità.

Il mio obiettivo principale è stato sempre quello di realizzare quell’idea di inclusione e interculturalità di cui oggi tanto si parla e che è chiave del successo formativo per tutti e di tutti.  In una scuola dove l’utenza è multietnica  l’intento è quello di realizzare l’incontro e il dialogo tra culture differenti ma che hanno pari dignità. Nella nostra scuola si è molto approfondito il concetto di cultura e da esso siamo partiti per organizzare il nostro lavoro. E’ nostro convincimento che le  culture sono diverse e l’annullamento del concetto di diversità è al tempo stesso l’annullamento del concetto di cultura. Il concetto di tolleranza esiste perché siamo diversi, il concetto di incontro esiste perché siamo diversi, non ci si incontra con chi è uguale, ci si incontra con chi è diverso, altro da me.

Fare intercultura oggi, dunque,  significa proporre una mappa educativa che tenga presente la necessità di leggere la cultura dell’altro, i punti e le matrici comuni e su questi costruire ponti. Dobbiamo scoprire una sorta di parentela culturale con l’altro.

Partendo da questi presupposti abbiamo avvertito la necessità di conoscere la cultura dei paesi di provenienza dei nostri apprendenti, creando strumenti che possano agevolare il lavoro di insegnanti e studenti.

Per questo nella nostra scuola è nata  l’idea del DiM, il dizionario multilingue online, ausilio didattico per studenti stranieri e insegnanti. Il DiM è stato progettato per sostenere l’insegnamento e l’apprendimento dell’italiano per studenti stranieri, la maggior parte di loro con gravi problemi di analfabetismo o di bassa alfabetizzazione. Il primo obiettivo del progetto è, dunque, creare un dizionario multilingue online attraverso una piattaforma “open source” contenente sette lingue per il livello A1 (secondo il quadro comune europeo) tradotte in ogni lingua europea dei partner aderenti al progetto. Il secondo obiettivo è la valorizzazione del patrimonio sociolinguistico degli studenti stranieri. Quando questo lavoro mi è stato proposto dalla mia preside Maria Stella Battista e dalla mia collega Lia Pensabene, promotrice del progetto, ho subito aderito sia per il desiderio di confrontarmi con altri colleghi, che è sempre momento di crescita professionale, sia per l’opportunità di conoscere da vicino culture differenti. In tal modo mi sarei rapportata e confrontata con partner europei dal momento in cui   il progetto prevede anche il coinvolgimento di altre istituzioni educative italiane ed europee.

Molte sono state le riflessioni personali e collettive che hanno ampliato le mie conoscenze, migliorato al contempo la mia crescita dal punto di vista non solo conoscitivo ma soprattutto delle competenze didattiche. La ricerca ha pertanto prodotto una crescita professionale e personale.

Immedesimandomi in culture e “credi” diversi ho imparato a vedere l’altro, il diverso non come qualcosa di “alieno” ma, al contrario, un arricchimento, un andare oltre le barriere al fine di gettare le basi per una vera interculturalità.

Tutti immaginiamo e  auspichiamo un mondo migliore in cui i confini, seppure esistenti, risultino molto “light”; sogniamo un mondo liquido in cui la gente si incontri, in cui le cose si possono scambiare.

Dobbiamo essere consapevoli, però, che nel momento in cui sciogliamo un confine per creare un ponte non si può fare a meno di creare per la gente una nuova possibilità di identità e soprattutto dobbiamo tener conto di quella parte dell’umanità che non ha strumenti per definire la propria identità.

Chi desidera un mondo aperto, con confini liquidi è forte. Molti, però, in un campo aperto sono destinati a perdere per cui rifiutano un mondo aperto. Non possiamo costruire ponti se non mettiamo un piccolo mattone di aiuto per coloro che non sono in grado di formarsi una loro identità. Per ogni ponte che si costruisce bisognerebbe costruire un “muro”, un muro non di pietra, non di filo spinato, ma di pareti custodi di idee. Se non è forte il senso di identità in un campo aperto siamo perdenti. Allora se vogliamo e ci piace il campo aperto dobbiamo costruire i giocatori prima del campo. Ecco quindi l’educazione, la formazione, la scuola e soprattutto l’idea e il fine del nostro progetto: conoscere meglio chi ci sta di fronte e nello stesso tempo farci conoscere; trovare le pareti di ognuno per costruire  ponti…ponti di solidarietà, reciprocità e, finalmente, di interculturalità.

Elvira Micco CPIA Avellino